Le ferie non godute a causa di un periodo di malattia, e che poi non vengono effettivamente beneficiate per cessazione del rapporto di lavoro, vanno sempre compensate con il pagamento dell’indennità sostitutiva E non importa se il CCNL di appartenenza prevede diversamente, perché siamo di fronte a un diritto non comprimibile e tutelato dalla Costituzione. Il contratto, infatti prevedeva come unica alternativa al pagamento dell’indennità il fatto che il mancato godimento delle ferie doveva essere motivato da “esigenze di servizio”, ciò che, nel caso di specie, non era avvenuto. Lo ha stabilito la Suprema Corte, con la sentenza n. 11462 del 9 luglio 2012, chiarendo quindi che in caso di mancato godimento delle ferie, anche senza responsabilità del datore di lavoro, al lavoratore spetta un’indennità sostitutiva che, oltre a poter avere carattere risarcitorio, costituisce altresì un’erogazione di natura retributiva, in quanto rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in un periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe, invece, dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali.
La Corte di Appello di Perugia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dal direttore dei servizi amministrativi presso un istituto scolastico diretta al riconoscimento del suo diritto all'indennità sostitutiva delle ferie che aveva maturato e non goduto, al momento del suo collocamento a riposo, a causa delle lunghe assenze per malattia che era stato costretto a fare. In particolare, detti giudici facevano riferimento alla norma del CCNL di settore secondo cui le "ferie non sono monetizzabili salvo quanto disposto dal successivo comma 15", rilevando che, secondo tale disposizione, in caso di mancato godimento delle ferie entro il termine contrattualmente previsto, è possibile il pagamento dell'indennità sostitutiva delle ferie nella sola ipotesi in cui all'atto della cessazione del rapporto residuino ferie non godute per "documentate esigenze di servizio".
La Suprema Corte di Cassazione, nel pronunciarsi sul caso in esame, ha ribadito che "il diritto alle ferie nel diritto italiano gode di una tutela rigorosa, di rilievo costituzionale, visto che l'articolo 36, comma 3 della Costituzione prevede testualmente che, il lavoratore ha diritto al riposto settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi". Pertanto, proprio in relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, laddove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, al lavoratore spetta sempre il pagamento delle ferie non godute che oltre ad avere carattere risarcitorio per “la perdita del bene” (mancato recupero delle energie psicofisiche, impossibilità di dedicarsi alle relazioni familiari e di svolgere attività psicofisiche), hanno anche “natura retributiva” costituendo il corrispettivo “dell’attività lavorativa resa in un periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali”. Per concludere è possibile affermare che ogni disposizione contenuta nei contratti collettivi che escluda il diritto del lavoratore di monetizzare i periodi di ferie non goduti al momento della risoluzione del contratto, sono assolutamente illegittimi in quanto sono in contrasto con le norme imperative, salva l'ipotesi del lavoratore che abbia disatteso l’offerta della fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro.
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