Una sentenza importante è la n. 80, depositata lo scorso 5 aprile 2012, della Corte costituzionale che ha il merito di censurare ben 19 articoli del decreto legislativo del 23 maggio 2011 n. 79, anche conosciuto come Codice del turismo.
La questione di legittimità costituzionale in riferimento a vari articoli del suddetto Codice, è stata posta da alcune Regioni come Toscana, Umbria, Puglia e Veneto.
La Consulta ha rilevato un eccesso di delega da parte del Governo in riferimento a ben 19 articoli del Codice del turismo. Tale delega infatti, a parer della Corte, ha riassettato i rapporti tra Stato e Regioni in materia turistica, che in verità non sono di competenza esclusiva statale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione. Per la Corte costituzionale la disciplina dello svolgimento dell’attività d’impresa nel settore turistico è di competenza delle Regioni e non dello Stato.
Regioni - Già in altre pronunce della stessa Corte si era stabilita la necessità di un intervento del legislatore statale per valorizzare l’attività turistica, uno dei capisaldi su cui dovrebbe reggere la nostra economia. Ma essendo un intervento che incide sulle competenze regionali, deve essere sentita la Conferenza Stato – Regioni, però nella stesura e formazione del Codice del turismo, tale Conferenza non è stata presa in considerazione.
Con la sentenza n. 80 depositata il 5 aprile 2012, la Corte dichiara così l’illegittimità costituzionale di varie disposizioni del Codice del turismo. Tra tali censure si segnala, in questa sede, la previsione contenuta all’articolo 8. Tale norma, classificando le strutture ricettive, divise in strutture ricettive alberghiere e paralberghiere, extralberghiere, all’aperto e quelle di mero supporto, intende per attività ricettiva in generale, quella diretta alla produzione di servizi per l’ospitalità esercitata nelle strutture ricettive.
Nell’ambito dell’attività ricettiva in questione, il Codice del turismo faceva rientrare, insieme alla prestazione del servizio ricettivo, anche la somministrazione di alimenti e bevande alle persone alloggiate, ai loro ospiti e a coloro che sono ospitati nella struttura ricettiva in occasione di manifestazioni e convegni organizzati, nonché la fornitura di giornali, riviste, pellicole per uso fotografico e di registrazione audiovisiva o strumenti informatici, cartoline e francobolli alle persone alloggiate, nonché la gestione, a uso esclusivo di dette persone, di attrezzature e strutture a carattere ricreativo, per le quali è fatta salva la vigente disciplina in materia di sicurezza.
Ma nella licenza di esercizio di attività ricettiva veniva ricompresa anche la licenza per la somministrazione di alimenti e bevande per le persone non alloggiate nella struttura ricettiva.
Si realizzava così una diversità di trattamento, a danno delle attività di somministrazione di alimenti e bevande esercitate nei bar e ristoranti, per i quali invece continua a essere obbligatorio il possesso dei requisiti professionali, individuati all’articolo 71, comma 7, del decreto legislativo n. 59/2010 (frequentazione di corsi professionali per il commercio e la preparazione e somministrazione di alimenti, istituiti dalle regioni, ovvero il possesso di diploma di scuola superiore o universitaria con materie attinenti, infine la prestazione di opera presso imprese operanti nel settore nei 5 anni precedenti in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita e alla preparazione degli alimenti e anche in qualità di socio lavoratore).
Ora la Corte costituzionale, con la sentenza n. 80 del 5 aprile scorso, tra le altre censure, dichiara illegittima tale previsione, eliminando così tale diversità di trattamento in riferimento al possesso dei requisiti professionali per la somministrazione di bevande e alimenti del titolare di un bar e del titolare di una struttura ricettiva, in riferimento in quest’ultimo caso, a persone non alloggianti nelle medesime strutture.
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