Il trattamento di fine rapporto (Tfr) è quella parte della retribuzione del lavoro subordinato che viene erogata quando il rapporto di lavoro finisce.
Il Trattamento di fine rapporto si accumula e matura nel corso di tutta la vita lavorativa. Il singolo lavoratore deve scegliere tra due opzioni:
- lasciare il Tfr in azienda, man mano che viene maturato, per poi riscuoterlo alla cessazione del rapporto di lavoro;
- destinare il Tfr ad un fondo pensione, per tramutare in pensione la somma accumulata, grazie alla previdenza complementare.
Tfr lasciato in azienda
Se si lavora in un’azienda con meno di 50 dipendenti, il Tfr continua a essere accantonato comunque presso il datore di lavoro.
Se si lavora in un’azienda con più di 50 dipendenti, il datore di lavoro è obbligato a versare il Tfr al fondo della Tesoreria di Stato gestito dall’Inps.
In entrambi i casi, il lavoratore deve rivolgersi sempre al proprio datore di lavoro: è infatti quest’ultimo che provvede ad erogare le anticipazioni e la liquidazione del Tfr.
Tfr nella previdenza complementare
Per chi sceglie questa opzione, il Tfr va a confluire nel fondo di previdenza, a scelta tra le seguenti forme di pensione complementare:
- individuale: fondo aperto o forma pensionistica individuale, con stipula di una polizza assicurativa previdenziale;
- collettiva: istituita o promossa dal contratto collettivo di lavoro di riferimento o anche dal contratto aziendale.
Un lavoratore che ha firmato un contratto di lavoro a tempo determinato della durata inferiore ai sei mesi non è obbligato a scegliere la destinazione del Tfr, perché questo viene liquidato dal datore di lavoro nel momento in cui finisce il contratto.
Chi ha scelto di lasciare il Tfr in azienda, quando cessa il rapporto di lavoro, riceve la liquidazione dell’intero Tfr maturato fino a quel momento.
Chi invece ha destinato l’intero Tfr ad un fondo complementare, non ha diritto alla liquidazione. Quando si interrompe il rapporto di lavoroi, il lavoratore può:
- trasferire la propria posizione previdenziale ad un'altra forma pensionistica complementare, alla quale il lavoratore accede con il nuovo lavoro;
- congelare (in quiescenza) la posizione maturata, senza ulteriore contribuzione;
- riscattare una parte o l’intera posizione maturata presso il fondo previdenziale.
Il trasferimento della propria posizione ad un'altra forma pensionistica complementare può avvenire:
- quando si cambia lavoro e si perdono i requisiti per partecipare al fondo scelto e previsto dal vecchio lavoro;
- dopo due anni di adesione al fondo scelto, per scelta volontaria.
Il riscatto, totale o parziale, della posizione previdenziale può essere ottenuto dal lavoratore nei seguenti casi:
- se è disoccupato, per un periodo compreso tra i 12 e i 48 mesi, o è in cassa integrazione ordinaria o straordinaria o in mobilità, il lavoratore può richiedere il riscatto parziale del 50 per cento della posizione previdenziale maturata fino a quel momento;
- se è disoccupato da più di 48 mesi, o nel caso di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo, il lavoratore può richiedere il riscatto totale della posizione maturata fino a quel momento.
In caso di morte prima della pensione, sia nel caso del Tfr lasciato in azienda, sia nel caso del Tfr destinato a un fondo di previdenza complementare, l’intera posizione maturata è riscattata dagli eredi, secondo quanto previsto dalla legge o da chi è stato indicato come beneficiario dal titolare (ma solo nel caso di fondo di previdenza complementare). In mancanza di questi, la somma viene assorbita dal fondo collettivo, o destinata a fini sociali, se si tratta di un fondo individuale.
La possibilità di usufruire di anticipazioni della somma maturata col Tfr, anche prima della cessazione del rapporto di lavoro, cambia in base al tipo di scelta compiuta, se lasciare il Tfr in azienda o destinarlo alla previdenza complementare.
I lavoratori che hanno scelto di lasciare il Tfr in azienda, dopo soli 8 anni di occupazione presso la stessa azienda, possono chiedere l’anticipazione fino al 70 per cento del Tfr maturato fino a quel momento. L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nell’arco di tutto il rapporto di lavoro (per ogni contratto firmato) e viene detratta dal Tfr. La richiesta è ammessa solo per le seguenti cause:
- spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
- acquisto della prima casa di abitazione, per sé o per i propri figli, documentata con atto notarile.
I lavoratori che hanno scelto di aderire ad un fondo, possono usufruire di anticipazioni, calcolate sulla base dei versamenti effettuati e dei rendimenti realizzati fino al momento della richiesta. La richiesta è ammessa solo per le seguenti cause:
- spese sanitarie per condizioni di salute gravissime, sia per sé che per coniuge e figli, riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche; l’anticipo è fino al 75 per cento della posizione maturata e può essere chiesto in qualsiasi momento;
- acquisto e la ristrutturazione della prima casa di abitazione per sé e per i figli, ma solo dopo 8 anni di iscrizione al fondo e fino al 75 per cento della posizione maturata;
- ulteriori esigenze dell’iscritto, di cui non deve dare giustificazione, ma solo dopo 8 anni di iscrizione al fondo e fino al 30 per cento della posizione maturata.
Al momento di andare in pensione, i lavoratori che hanno scelto di lasciare il Tfr in azienda ricevono la liquidazione di quanto maturato, secondo quanto stabilito dall’articolo 2120 del Codice Civile.
I lavoratori che hanno fatto confluire il Tfr in un fondo di previdenza complementare, alla maturazione dei requisiti per andare in pensione, ricevono invece la rendita maturata nel corso degli anni. Per legge, almeno il 50 per cento di quanto maturato deve essere erogato in questa forma.
La rendita può essere vitalizia o reversibile su un altro beneficiario. Oppure si può ottenere la certezza che le rate vengano pagate per un determinato numero di anni, indipendentemente da quanto resta in vita il titolare. In questo caso, le rate rimanenti vengono poi pagate ai beneficiari o agli eredi.
Il lavoratore che va in pensione può chiedere subito, in forma di capitale, il 50 per cento di quanto accumulato con la forma pensionistica complementare. Può ricevere l’intero capitale solo ad una condizione: se l'eventuale trasformazione in rendita del 70 per cento di quanto maturato con i contributi versati al fondo di previdenza complementare, produrrebbe una pensione inferiore alla metà dell’assegno sociale Inps.
La normativa che regola questa materia è costituita dal Decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005, modificato dalla Legge n. 196 del 2006 (finanziaria 2007).
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